Il principio di relatività afferma che un fenomeno fisico viene descritto da un’identica legge se visto da un osservatore fermo oppure in moto, purché tale moto sia rettilineo e uniforme, cioè avvenga con velocità costante (in termini scientifici si dice che l’osservatore si trova in un sistema di riferimento inerziale). Più in generale: le leggi fisiche sono le stesse per due osservatori in moto rettilineo uniforme uno rispetto all’altro
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Soltanto gli osservatori non inerziali – ossia in stato di accelerazione – danno un resoconto diverso del fenomeno. Osservatori posti sulla superficie della Terra, a rigor di logica, non sono inerziali, perché la rotazione terrestre li fa muovere lungo un arco (o, se vogliamo, conferisce loro un’accelerazione radiale). Tuttavia, data la grandezza del raggio terrestre, il loro moto differisce poco da un moto rettilineo uniforme e l’errore che si fa trattandoli come osservatori inerziali è molto piccolo. È per questo motivo che Galileo accoglie l’analogia tra caduta di un corpo da una torre sulla terraferma e dall’albero di una nave in movimento.
Voi, con Aristotile ed altri, dite: Se la Terra girasse in sé stessa in 24 ore, le pietre e gli altri corpi gravi cadenti dalla cima d’un’alta torre, non verrebbono a percuotere in Terra al piede della torre; avvenga che nel tempo che la pietra si trattiene per aria, scendendo verso il centro della Terra, essa Terra, procedendo con somma velocità verso levante e portando seco il piede della torre, verrebbe per necessità a lasciarsi a dietro la pietra per tanto spazio, per quanto la vertigine della Terra nel medesimo tempo fusse scorsa avanti, che sarebbero molte centinaia di braccia. Il qual discorso confermano poi con un esempio preso da un’altra esperienza, dicendo ciò manifestamente vedersi in una nave, nella quale se, mentre ella sta ferma in porto, si lascia dalla sommità dell’albero cader liberamente una pietra, quella, scendendo a perpendicolo, va a percuotere al piede dell’albero, ed in quel punto precisamente che risponde a piombo sotto il luogo di dove si lasciò cadere il sasso; il quale effetto non avviene quando la nave si muove con veloce corso; imperò che nel tempo che la pietra consuma nel venir da alto a basso e che ella, posta in libertà, perpendicolarmente descende, scorrendo il navilio avanti, si lascia per molte braccia il sasso per poppa lontano dal piede dell’albero; conforme al quale effetto dovrebbe seguire del sasso cadente dalla cima della torre, quando la Terra circolasse con tanta velocità. Questo è il discorso: nel quale pur troppo apertamente scorgo ambedue gli errori de’ quali io parlo. Imperò che, che la pietra cadente dalla cima della torre si muova per linea retta e perpendicolare alla superficie terrestre, né Aristotile né voi da altro lo raccogliete, né potete raccorre, se non dal vedere come nel suo scendere ella vien, per così dire, lambendo la superficie della torre, eretta a perpendicolo sopra la Terra; sì che si scorge, la linea descritta dalla pietra esser retta essa ancora e perpendicolare. Ma io qui vi dico che da questa apparenza non si può altramente inferir cotesto se non supposto che la Terra stia immobile mentre la pietra descende, che è poi il quesito che si cerca; perché, se io col Copernico dirò che la Terra va in giro e seco in conseguenza porta la torre e noi ancora che osserviamo l’effetto della pietra, diremo che la pietra si muove d’un moto composto dell’universal diurno circolare verso levante e dell’altro accidentario retto verso il suo tutto, da i quali ne resulta uno inclinato verso oriente; de i quali quello ch’è comune a me, alla pietra ed alla torre, mi resta in questo caso impercettibile e come se non fusse, e solo rimane osservabile l’altro, del quale la torre ed io manchiamo, cioè l’avvicinamento alla Terra. [...]
Lettera a Francesco Ingoli