Il gran libro della natura
[...] La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io disco l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.
Dall’incipit del libro: Io non hò mai potuto intendere Illustrissimo Sig. onde sia nato, che tutto quello, che de’ miei studi, per aggradire, ò servire altrui, m’è convenuto metter’ in publico, abbia incontrato in molti una certa animosità in detrarre, defraudare, e vilipendere quel poco di pregio che, se non per l’opera, almeno per l’intenzion mia m’era creduto di meritare. Non prima fù veduto alle stampe il mio Nunzio Sidereo, dove si dimostrarono tanti nuovi, e meravigliosi discoprimenti nel Cielo, che pur doveano esser grati agli amatori della vera filosofia, che tosto si sollevaron per mille bande insidiatori di quelle lodi dovute à così fatti ritrovamenti; nè mancaron di quelli, che solo per contradir’à’ miei detti, non si curarono di recar in dubbio quanto fù veduto à lor piacimento, e riueduto più volte da gli occhi loro. Imposemi il Serenissimo Gran Duca Cosimo Secondo, di Gloriosa memoria mio Signore, ch’io scrivessi il mio parere delle cagioni del galleggiare, ò affondarsi le cose nell’acqua; e per sodisfar’à così fatto comandamento, avendo disteso in carta quanto m’era sovvenuto, oltre alla dottrina d’Archimede, che per avventura è quanto di vero in effetto circa sì fatta materia poteva dirsi, eccoti subito piene tutte le stamperie d’invettiue contro del mio discorso, nè avendo punto riguardo, che quanto da me fu prodotto fusse confermato, e conchiuso con geometriche dimostrazioni contradissero al mio parere, nè s’avvidero (tanto ebbe forza la passione) che ‘l contradire alla Geometria è un negare scopertamente la verità..
La scelta di questo testo in particolare è dovuta alla sua grande leggibilità e alla illustrazione chiara del suo metodo di una nuova scienza. Dal punto di vista letterario, è considerato l'opera più elegante e effervescente di Galileo, quella in cui si fondono maggiormente il suo amore per la scienza, per la verità e la sua arguzia di polemista. Il trattato nasce da una disputa tra Galileo e Orazio Grassi sull'origine delle comete. Vuole essere un invito alla lettura da parte degli studenti.
Si riporta in allegato l'intero testo, grazie alla digitalizzazione di Liberliber
Il Ruolo della matematica
La novità più importante nel pensiero di Galileo è la sistematica matematizzazione della natura. Matematizzazione da intendere nel senso di geometrizzazione, giacché in pratica egli non fa mai uso di formule, di algebra e persino di frazioni. La matematica è per lui semplicemente uno strumento della ragione che aiuta a non smarrirsi in vane fantasie.
Le parole di Galileo costituiscono un’esplicita dichiarazione di fiducia nella razionalità della natura e dell’uomo, e nella possibilità che ha quest’ultimo di decifrare e comprendere il reale, purché ne possegga il linguaggio. Le due metafore del libro aperto e dell’«oscuro laberinto» sono simboli rispettivamente del modo nuovo – rinascimentale e umanistico – e di quello antico – medievale e dogmatico – di porsi di fronte alla natura, nella quale l’uomo rischia di smarrirsi se si priva del filo di Arianna della ragione.
L’affermazione galileiana, con il ruolo determinante che riconosce alla matematica, costituisce, oggi ancor più di allora, il presupposto irrinunciabile del fare scienza: si può dire infatti che l’intreccio di scienza sperimentale, modelli teorici e metodologie matematiche, e la loro mutua opera di fertilizzazione, sono caratteri eminenti nella scienza contemporanea, tanto più marcati quanto più essa è progredita e ha raggiunto il livello della maturità.
E per quanto riguarda l’uomo comune, colui che non è scienziato, possiamo affermare, a tanti secoli di distanza, che le parole di Galileo fanno parte del patrimonio culturale di chi vive nei cosiddetti paesi civilizzati dell’Occidente? Purtroppo no. Basta cogliere brandelli di dialogo per strada, sfogliare i giornali, sbirciare la televisione, per accorgersi che non è così, che gli uomini – per ignoranza, pigrizia, paura, disinteresse – continuano ad appoggiarsi acriticamente alle opinioni di altri e ad aggirarsi in gran numero nel labirinto oscuro dei sensi, non ancora rischiarato dalla ragione.
Le qualità percepite
A proposito di matematizzazione della natura, Il Saggiatore contiene una breve parentesi, quasi una libertà che Galileo si concede nel discorso scientifico dominante, dove si precisa quali aspetti della natura il fisico matematico debba astenersi dall’investigare. Si tratta degli aspetti qualitativi, cioè di quelle proprietà secondarie degli oggetti, come i colori, i suoni, gli odori, i sapori, che non sono insite nelle cose stesse bensì nel soggetto percettore.
Compito del fisico è cercare le qualità primarie, cioè grandezza, figura, numero e movimento, che sono esprimibili quantitativamente e definibili in maniera oggettiva, così da divenire terreno di indagine scientifica. È opportuno inoltre sottolineare che Galileo, nel fare la distinzione tra qualità fisiche e qualità psichiche, non si pose dal punto di vista del filosofo ma dello scienziato, ossia «con mentalità più operativa che non speculativa. In altri termini, fece arditamente appello ad essa, perché serviva alle sue indagini e nei limiti in cui era palese questa utilità», ma non si curò «di analizzarne i presupposti conoscitivi generali, perché quest’analisi era fuori dei suoi interessi».
A quasi quattro secoli di distanza, gli uomini non hanno ancora appreso questa lezione, e si crogiolano nelle ipotesi gratuite dell’astrologia, del mistero, dell’ufologia, del paranormale. Tra gli argomenti trattati in queste pagine, di particolare rilievo è l’intuizione galileiana che debba sussistere una qualche interconnessione tra la sensazione di calore e il moto delle particelle della sorgente termica, e anche l’idea che luce e materia siano in certo modo facce di una stessa realtà. Veniamo ora al famoso passo .
Alcuni esempi - sulle percezioni sensoriali
Restami ora che io dica certo mio pensiero intorno alla proposizione «Il moto è causa di calore», mostrando in qual modo mi par ch’ella possa esser vera Ma prima mi fa di bisogno fare alcuna considerazione sopra questo che noi chiamiamo caldo, del qual dubito grandemente che in universale ne venga formato concetto assai lontano dal vero, mentre vien creduto essere un vero accidente affezzione e qualità che realmente risegga nella materia dalla quale noi sentiamo riscaldarci. Per tanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo, ch’ella è una, poche o molte, né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch’ella debba essere bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l’immaginazione per sé stessa non v’arriverebbe già mai. Per lo che vo io pensando che questi sapori, odori, colori etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che rimosso l’animale, sieno levate ed annichilate tutte queste qualità [...]. Ora, di simile e non maggiore essistenza credo io che possano esser molte qualità che vengono attribuite a i corpi naturali, come sapori, odori, colori ed altre. [...] Ma che ne’ corpi esterni, per eccitare in noi i sapori, gli odori e i suoni, si richiegga altro che grandezze, figure, moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo credo; e stimo che, tolti via gli orecchi le lingue e i nasi, restino bene le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor dell’animal vivente non credo che sieno altro che nomi, come a punto altro che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l’ascelle e la pelle intorno al naso..
Alcuni esempi - Natura del calore
E tornando al primo mio proposito in questo luogo, [...] dico che inclino assai a credere che il calore sia di questo genere, e che quelle materie che in noi producono e fanno sentire il caldo, le quali noi chiamiamo con nome generale fuoco, siano una moltitudine di corpicelli minimi, in tal tal modo figurati, mossi con tanta e tanta velocità; li quali, incontrando il nostro corpo, lo penetrino con la lor somma sottilità, e che il lor toccamento, fatto nel lor passaggio per la nostra sostanza e sentito da noi, sia l’affezzione che noi chiamiamo caldo, grato o molesto secondo la moltitudine e velocità minore o maggiore d’essi minimi che vanno pungendo e penetrando, sì che grata sia quella penetrazione per la quale si agevola la nostra necessaria insensibil traspirazione, molesta quella per la quale si fa troppo gran divisione e risoluzione nella nostra sostanza: sì che in somma l’operazion del fuoco per la parte sua non sia altro che, movendosi, penetrare colla sua massima sottilità tutti i corpi, dissolvendogli più presto o più tardi secondo la moltitudine e velocità de gl’ignicoli e la densità o rarità della materia d’essi corpi; de’ quali corpi molti ve ne sono de’ quali, nel lor disfacimento, la maggior parte trapassa in altri minimi ignei, e va seguitando la risoluzione fin che incontra materie risolubili. Ma fa che oltre alla figura, moltitudine, moto, penetrazione e toccamento, sia nel fuoco altra qualità, e che questa sia caldo, io non lo credo altrimenti; e stimo che questo sia talmente nostro, che, rimosso il corpo animato e sensitivo, il calore non resti altro che un semplice vocabolo
Alcuni esempi - Luce e materia
Ora, la confricazione e stropicciamento di due corpi duri, o col risolverne parte in minimi sottilissimi e volanti, o coll’aprir l’uscita a gl’ignicoli contenuti, gli riduce finalmente in moto, nel quale incontrando i nostri corpi e per essi penetrando e scorrendo, e sentendo l’anima sensitiva nel lor passaggio i toccamenti, sente quell’affezzione grata o molesta, che noi poi abbiamo nominata caldo, bruciore o scottamento. E forse mentre l’assottigliamento e attrizione resta e si contiene dentro a i minimi quanti, il moto foro è temporaneo, e la lor operazione calorifica solamente; che poi arrivando all’ultima ed altissima risoluzione in atomi realmente indivisibili, si crea la luce, di moto o vogliamo dire espansione e diffusione istantanea, e potente per la sua, non so s’io debba dire sottilità, rarità, immaterialità, o pure altra condizion diversa da tutte queste ed innominata, potente, dico, ad ingombrare spazii immensi.
Una presentazione dell'esperienza immaginata e descritta da Galileo per la misura della velocità della luce.
Filmato dell'Università di Roma