Principio d'Inerzia
Secondo il principio di inerzia, un corpo, una volta posto in movimento, mantiene la propria velocità se è nulla la risultante delle forze cui si trova sottoposto, siano esse agenti o resistenti (tra queste, tipicamente, quella d’attrito). Viene meno allora la necessità di invocare – come faceva Aristotele – una forza di spinta atta a garantire la conservazione del moto. Se una forza interviene, essa ha l’effetto o di frenare il corpo, allorché si contrappone al suo moto, oppure di accelerarlo, se è concorde con esso; mai di conservargli la velocità iniziale.
Concetto rivoluzionario, giacché prima di Galileo si riteneva che la velocità di un corpo fosse in qualche modo da collegare a una forza applicata.
Nella lettera, inviata a Francesco Ingoli come risposta a un suo testo, Galileo enuncia implicitamente i due princìpi fondamentali di inerzia e di relatività, quelli che in certo modo rappresentano il punto focale della rivoluzione galileiana. L’oggetto del contendere è se la Terra sia immobile – punto di vista aristotelico – oppure orbiti attorno al Sole, nel contempo ruotando su se stessa. Gli argomenti addotti da Ingoli a favore dell’immobilità della Terra e presi in considerazione da Galileo sono essenzialmente tre: primo, una pietra lasciata cadere da una torre scende a perpendicolo, correndo parallelamente alla torre lungo l’intero percorso (vero); secondo, lo stesso avviene per una pietra lasciata cadere dalla cima dell’albero di una nave ferma, ma non già se la nave avanza (falso); terzo, i tiri di un cannone sono di egual gittata se sparati verso Est oppure verso Ovest (vero). Veri o falsi che siano – mostra Galileo – i tre argomenti sono inconcludenti.
Galileo evidenzia le pecche che affliggono l’osservazione dei fenomeni da parte di certi aristotelici, spesso data per buona senza una reale e diretta sperimentazione, nonché i loro ragionamenti, che sovente si possono ritorcere contro loro stessi. L’argomento del sasso che cade alla base della torre, e non a una qualche distanza a Ovest di essa, non prova assolutamente nulla: Galileo dimostra che in entrambi i casi – Terra immobile o Terra in rotazione con velocità costante – la caduta deve avvenire con identiche modalità. Questa conclusione equivale a enunciare al contempo i due princìpi, di inerzia e di relatività.
Gli studiosi erano ancora fermi alle parole di Aristotele: Se una certa forza o potenza muove un certo corpo con una certa velocità, occorrerà una forza o potenza doppia per muovere lo stesso corpo con velocità doppia (ossia due cavalli fanno avanzare la carrozza più speditamente di uno solo). Concetto così rivoluzionario che ancor oggi fatica a penetrare le menti dei profani, come indicano certi sondaggi fatti tra i nuovi iscritti al corso di laurea in Fisica, i quali in proposito rivelano di nutrire, in due casi su tre, concezioni pre-galileiane.
Già altri hanno introdotto in varie forme tale principio (ad. es. Bruno e Cartesio), ma si può citare il giudizio di Newton che attribuisce tutto il merito della scoperta a Galileo, passando completamente sotto silenzio il nome di Cartesio.... Si deve appunto a Newton l’aver colto nell’opera di Galileo tutti i presupposti fondamentali di una concezione rivoluzionaria del movimento. Una concezione che è stata lungamente preparata, ma che in lui mostra i tratti essenziali e più sistematici.
Se proprio si volesse esprimere una riserva sui meriti di Galileo, si potrebbe dire che in lui non tutti gli aspetti dell’inerzia sono messi perfettamente a fuoco. Manca per esempio l’esplicito riconoscimento che il moto circolare uniforme non è un moto inerziale, un moto cioè che avviene senza intervento di forze.
Stralci dalla lettera a Francesco Ingoli